Cosa significa la dieta anticancro?
Si fa un gran parlare su riviste, libri di oncologi più o meno noti e addirittura in televisione, della dieta anticancro; non esiste una dieta anticancro, esistono delle regola ormai anche pubblicate su riviste autorevoli come il Journal of Clinical Oncology Nutrition, ecc, le quali indicano con una certa precisione quali sono i comportamenti alimentari più consoni con alcuni alimenti rispetto ad altri ed un miglioramento di tollerabilità ai trattamenti da parte dei pazienti. In primis, l’atteggiamento più comunemente esposto è quello di condannare tutta la carne: la carne acidifica come alimento in sé e le cellule tumorali crescono in un ambiente acido e non in uno basico, dunque sarebbe bene ridurre il consumo per prevenzione ad 1, massimo 2 volte alla settimana (compresi gli insaccati) nei pazienti in terapia, sostituire con proteine derivanti da cereali (riso integrale, farro integrale, quinoa, amaranto che sono anche privi di glutine), legumi e qualche latticino (tipo ricotta, robiola, grana, mozzarella in piccole dose meglio se di bufala).
Poi sicuramente per tutti, consumare tante verdure fresche, crude a pranzo e cotte a cena, quando sarebbe bene associare i legumi (piselli con uova, patate con pesce; i ceci e i fagioli meglio a pranzo, gli uni con riso integrale e gli altri con insalata).
Nei pazienti oncologici si assiste quasi sempre ad una perdita di peso più o meno visibile ma sicuramente misurabile con apposite tecniche o nei pazienti che lo hanno già perso (almeno il 5% del peso originario), occorre verificare alcuni esami ematochimici indicatori di normali funzioni del fegato e rene ed indicatori di iniziali carenze energetico-proteiche o di sindrome da refeeding (specie dopo alcuni interventi, ad esempio gastrectomie, che inducono il paziente a lunghi digiuni – in maniera scorretta – e che producono una sorta di autocannibalismo delle proteine dei muscoli, compreso quello cardiaco). Rialimentare il paziente non significa però ingozzarlo in modo quasi ossessivo o fare una nutrizione parenterale standard (soprattutto se vi è un intestino funzionante) ma controllare bene le associazioni di cibo, per alcalinizzare il più possibile, ridurre i picchi glicemici al minimo, frazionare il più possibile i pasti per non appesantire la digestione, eventualmente scegliere sacche ad hoc ed iniziare una nutrizione enterale.
Inoltre, utilizzare alcune specie come zenzero, curcuma, prezzemolo, coriandolo; non solo, anche semi oleosi, noci e mandorle (meglio se spelate), cibi ricchi di omega-3, anti-infiammatori, semi di zucca, semi di lino e semi di sesamo per compensare il tutto con proteine vegetali.
Infine, si deve prestare attenzione agli integratori, che non sostituiscono il cibo e che possono avere componenti controproducenti per l’obiettivo terapeutico (soia, aloe, B12 ecc), solo un esperto di medicina integrata all’oncologia può ben consigliare, il fine ultimo comunque sarebbe di mantenere il BMI, l’indice di massa corporea, stabile e nella norma, una bassa massa grassa che permettano di aumentare la qualità di vita del paziente garantendo una compliance nutrizionale al 100%. Tutto questo è possibile personalizzando sempre la dieta nel tempo: il team di specialisti (dall’oncologo, al nutrizionista, dal chirurgo al terapeuta del dolore, ecc) dovrebbe lavorare in sinergia in ogni setting terapeutico, condividendo ogni tipo di scelta, anche quelle nutrizionali ed integrative.