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Recentemente ho partecipato ad un congresso sull’ oncologia di genere durante il quale sono emerse delle evidenze che nella realtà clinica non sono applicate per esempio la cartella clinica ci fa indicare solo maschio o femmina e non il genere…
Secondo l’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è il risultato di criteri costruiti su parametri sociali circa il comportamento, le azioni, i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute.

Le diversità di genere si manifestano nei comportamenti, negli stili di vita, nel vissuto individuale e nel diverso ruolo sociale, nello stato di salute -incidenza di malattie acute e croniche, tossicità ambientale e farmacologica, patologie lavoro-correlate, salute mentale, disabilità, in tutte le fasce d’ età e i sottogruppi svantaggiati-, nel ricorso ai servizi sanitari per prevenzione -dagli screening agli accessi in farmacia per dispositivi medici-, nel vissuto di salute -atteggiamento nei confronti della malattia, percezione del dolore-; la medicina di genere si occupa di studiare l’ influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche, culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
Dovremmo aprire una nuova finestra nella cartella clinica e sarebbe utile porre alcune domande specifiche al paziente e individuare i criteri di determinazione del genere.

In oncologia sappiamo che gli studi clinici difficilmente sono splittati tra uomo e donna -si cerca di capire a posteriori-, sappiamo che la clearence di alcuni farmaci è più lenta nelle donne e dunque alcune tossicità più marcate sono da ricercare in una maggiore esposizione al farmaco,  le donne hanno un peso medio inferiore agli uomini, una percentuale di massa grassa più alta, un minore volume plasmatico, diversi profili di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione dei farmaci.Occorrono nuovi studi clinici.

In immunologia sappiamo che la donna ha una maggiore reattività immune, di qui la maggiore incidenza di malattie auto-immuni, ma anche una indicazione sulla scelta degli immunoterapici o i vaccini rispetto ad altri farmaci tipo inibitori di checkpoint; sappiamo che gli ormoni estrogeni giocano un ruolo determinante nella presentazione dell’ antigene ai linfociti T, mentre gli androgeni sono immosoppressivi. Sappiamo che vengono prodotte differenti citochine in risposta ai trattamenti (per esempio nel melanoma) e ciò può indirizzare e ottimizzare la terapia in modo personalizzato.

Nella terapia del dolore sappiamo che c’è una percezione differente del dolore, specie quello oncologico, alcuni studi indicano che fluttuazioni ormonali specie di estrogeni determinano alti livelli di dolore mentre la stabilità è protettiva, il testosterone protegge gli uomini da alti livelli di dolore (non c’è letteratura sulla popolazione transgender, esposti a terapie estrogeniche di lunga durata così come androgeniche).

Attualmente esiste un osservatorio sulla medicina di genere presso l’ Istituto Superiore di Sanità che si occupa di elaborare percorsi clinici, ricerca e innovazione, formazione, comunicazione e informazione, farmacologia di genere, occuparsi di diseguaglianze di salute legate al genere. migliorare la cura rafforzando il concetto di ” centralità del paziente” e di ” personalizzazione delle terapie”.

Quello che è strettamente necessario è di formulare gli studi clinici tenendo conto del sesso e del genere, i risultati ottenuti finora sono insufficienti ma la strada per formulare/aggiornare le linee guida è tracciata, ora occorre incentivare la ricerca in questo ambito.

Qualche dato che fa riflettere e che può essere utile nella pratica clinica.

 

 


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Come oncologa di formazione, mi sono sempre posta la domanda di cosa indicare ai pazienti durante le terapie per nutrirsi in modo da meglio tollerare le stesse terapie e in modo da sinergizzare con esse. Si è iniziato a pubblicare seriamente da circa 15 anni e associazioni come il Fondo Europeo per la Ricerca sul Cancro appartenente all’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha stabilito alcune raccomandazioni come summa dei risultati dei grandi studi.

In sostanza, viene raccomandato di consumare in modo abbondante i cereali integrali (riso integrale, farro, quinoa, miglio, cous cous integrale, grano saraceno, avena) e legumi almeno 1 cucchiaio a pasto (piselli, fave, fagioli, ceci, lenticchie), di consumare abitualmente frutta e verdura e io aggiungo, di stagione e meglio se di derivazione da coltivazione biologica o biodinamica, di mangiare frutta fresca con moderazione ma almeno 2 volte al giorno meglio fuori pasto e in abbinamento alla frutta secca a guscio come noci, nocciole e mandorle, per impedire il picco glicemico che la frutta fresca provoca a causa del fruttosio.

Di consumare semi oleaginosi misti,  aggiungere semi  nello yogurt, per esempio consiglio bianco o keffir da arricchire con cereali come granola di avena integrale o di farro integrale, cioccolato fondente, anche per colazione

Di consumare pesce, meglio se pescato e fresco, di ridurre tutte la carne in generale ma più la carne rossa e di eliminare la carne lavorata entrata come classe 1 nella classificazione dello IARC (dunque c’è evidenza di una cancerogenicità per l’ uomo), di eliminare le bibite gassate, lo zucchero anche se di canna, il sale fino e tutte le farine raffinate (quelle che noi chiamiamo 0-00 e che sono spesso in pasta o merendine o biscotti confezionati)

Viene consigliata una dieta varia, bilanciata nei pasti e rispondente al fabbisogno del paziente.

Ultimamente con il nascere di una oncologia sempre più tailored sul paziente, cioè cucita ad hoc, personalizzata in base alle caratteristiche genetiche del tumore e della persona, dello stadio e delle condizioni e basata sulla educazione del sistema immunitario a rispondere ad un certo tipo di tumore, si consiglia di personalizzare anche la nutrizione e di prestare particolare attenzione al microbiota (quell’ insieme di micro-organismi che popolano le nostre mucose in particolare il tubo digerente, che rappresenta un organo vero e proprio e che condiziona non solo il metabolismo energetico, del glucosio ma anche la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina modulando l’ umore e anche la risposta immune alle noxe infettive e il tono immunitario globale).

Il paziente in terapia va studiato, visitato, ascoltato per permettere una nutrizione adeguata e ad hoc per il problema presente; talora molte donne operate di tumore mammario, mandate in menopausa farmacologica, aumentano di peso con accumulo di grasso viscerale e aumento dello stato infiammatorio e della sindrome metabolica con aumento conseguente del rischio di recidiva. Devono rientrare nel peso e nelle caratteristiche di tessuto adiposo normali per queste (tessuto adiposo viscerale ridotto).

Molto spesso succede che i pazienti in terapia da tempo perdano troppo peso, -massa magra- e venga loro consigliata una terapia nutrizionale parenterale che li aiuta da un lato ma impedisce dall’ altro una nutrizione corretta perché talora altera il senso di appetito, già basso in molti; per cui dovere dell’ oncologo è anche di prescrivere una nutrizione in grado dei aiutare il paziente a prevenire la cachessia, -questo è stressato anche negli ultimi congressi-. Nel 2024, i pazienti oncologici possono sopravvivere con una buona qualità di vita, facendo le terapie e mantenendo un peso e una struttura fisica normale. Per questo si deve associare una moderata attività fisica sempre.

In generale i 3 pilastri della nutrizione in oncologia sono questi:

1- ridurre i picchi glicemici

2- ridurre lo stato infiammatorio

3- ridurre i fattori di crescita

Tutta la nutrizione va costruita poi ad hoc sul paziente conoscendo alla perfezione gli alimenti e le loro proprietà e permettendo così un’ azione sinergica con le terapie e di supporto per il paziente stesso.

Spero possa essere stato utile.

La Vostra doc

 


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Alimentazione: quanto incide sul rischio di ammalarsi di cancro

Un’alimentazione sana ed equilibrata può aiutare a prevenire malattie al cuore e tumori.

Alimentazione: quanto incide sul rischio di ammalarsi di cancro?

Un’alimentazione sana ed equilibrata è ciò che può aiutare a prevenire malattie al cuore e tumori. Non è facile fare calcoli precisi di quanto ciò che si mangia incida sul rischio di tumore ma, secondo l’American
Institute for Cancer Research che si basa a sua volta sui maggiori studi
epidemiologici, le cattive abitudini alimentari sarebbero responsabili di
circa tre tumori su dieci. Se a ciò si somma l’importanza della nutrizione
per la prevenzione dell’obesità e della sindrome metabolica, che a loro volta provocano anche malattie cardiovascolari, si capisce quanto importante sia ciò che mettiamo nel piatto.


La relazione può dipendere dalla presenza di alcune sostanze che favoriscono la malattia: alcuni esempi sono i nitriti e nitrati, utilizzati essenzialmente come conservanti negli insaccati e collegati al cancro del colon. Altre volte non è l’alimento in sé, quanto la sua cattiva conservazione, a essere un problema: per esempio, nei cerealimal conservati si sviluppano muffe che liberano aflatossine, sostanze molto cancerogene. Anche la tempistica è importante: numerosi studi hanno dimostrato che è fondamentale alimentarsi correttamente fin da piccoli, ma allo stesso tempo non è mai troppo tardi per cambiare.


Alcune ricerche hanno dimostrato che, anche dopo la diagnosi di tumore, il paziente può trarre vantaggi da una dieta più sana. Il cibo può essere una grande arma di prevenzione, a patto che si comprenda fino in fondo cosa significa mangiare bene. La letteratura scientifica fornisce numerose informazioni utili, anche se i risultati degli studi non sono sempre semplici da interpretare.



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Cancro al seno: le verdure nella dieta potrebbe avere un ruolo determinante in termini di sopravvivenza

Una alimentazione che comprenda buone quantità di verdure si ritiene aumenti le possibilità di sopravvivere a lungo, libere da recidive dopo diagnosi di neoplasie della mammella.
Le pazienti dovrebbero includere molte verdure, in particolare le crucifere come broccoli e cavoli. Secondo gli scienziati, infatti, proprio il consumo di questo tipo di verdure, è legato ad un calo dei tassi di morte per tumore della mammella e non solo questo.

A sostenere che mangiare broccoli e cavoli, sinergizzi con le terapie per la cura del tumore al seno, sono i ricercatori della Vanderbilt University, di Nashville (Stati Uniti) i quali hanno seguito per cinque anni un gruppo di quasi 5.000 pazienti e lo studio EPIC condotto presso l’ Istituto dei tumori di Milano.
Lo scopo era proprio di individuare quali fattori potessero influire sul decorso della malattia, nel bene o nel male.

I dati raccolti hanno permesso di scoprire che, in effetti, il consumo di crucifere avesse un ruolo nella riduzione dei tassi di recidiva e sopravvivenza globale. Nello specifico si è rilevato che le donne che includevano nella propria alimentazione un buon numero di queste verdure durante i primi tre anni dalla diagnosi, vedevano ridursi le probabilità di decesso per la malattia.

Chi pertanto aveva aumentato l’apporto di crucifere poteva avvantaggiarsi di una riduzione del rischio del 20% circa. Riguardo la morte per tutte le cause, il rischio diminuiva comunque del 15%. Percentuali di tutto rispetto.

L’analisi della dieta seguita dalle donne ha anche permesso di stabilire come vi siano differenze nelle abitudini alimentari tra l’Oriente e l’Occidente. In particolare, in Oriente si prediligono le rape, il cavolo cinese, le verdure a foglia verde in genere, i germogli e il Bok choy, un tipo di cavolo cinese. In Occidente, per contro, si consumano di più i cavoli “classici”, quelli di Bruxelles e i broccoli.. In ogni modo, quale che sia il vostro ortaggio preferito, l’importante è che sia uno di questi che sono notoriamente ricchi di sostanze antiossidanti e dunque preventivi per neoplasie maligne, come suggerito da numerosi studi.



La cancer coach Mara Mussoni intervista l'Oncologa Simona Casadei

Quali alimenti aiutano a tollerare meglio la chemioterapia? Quali invece sono consigliabili durante la terapia ormonale? La D.ssa Simona Casadei è Medico Oncologo esperta in nutrizione e ci aiuterà a capire come l'alimentazione può essere d'aiuto nelle varie fasi che attraversa chi sperimenta il cancro.Tanti preziosi consigli da un'esperta di nutrizione, nonché oncologo e donna che ha superato lei stessa il cancro!Per non perderti i prossimi video, iscriviti al mio canale YouTube https://goo.gl/zncFjy – Riprese e montaggio a cura di www.officinavideo.it –

Pubblicato da Cancer Coach Mara Mussoni su Venerdì 4 agosto 2017

 



Si fa un gran parlare su riviste, libri di oncologi più o meno noti e addirittura in televisione, della dieta anticancro; non esiste una dieta anticancro, esistono delle regola ormai anche pubblicate su riviste autorevoli come il Journal of Clinical Oncology Nutrition, ecc, le quali indicano con una certa precisione quali sono i comportamenti alimentari più consoni con alcuni alimenti rispetto ad altri ed un miglioramento di tollerabilità ai trattamenti da parte dei pazienti. In primis, l’atteggiamento più comunemente esposto è quello di condannare tutta la carne: la carne acidifica come alimento in sé e le cellule tumorali crescono in un ambiente acido e non in uno basico, dunque sarebbe bene ridurre il consumo per prevenzione ad 1, massimo 2 volte alla settimana (compresi gli insaccati) nei pazienti in terapia, sostituire con proteine derivanti da cereali (riso integrale, farro integrale, quinoa, amaranto che sono anche privi di glutine), legumi e qualche latticino (tipo ricotta, robiola, grana, mozzarella in piccole dose meglio se di bufala).
Poi sicuramente per tutti, consumare tante verdure fresche, crude a pranzo e cotte a cena, quando sarebbe bene associare i legumi (piselli con uova, patate con pesce; i ceci e i fagioli meglio a pranzo, gli uni con riso integrale e gli altri con insalata).
Nei pazienti oncologici si assiste quasi sempre ad una perdita di peso più o meno visibile ma sicuramente misurabile con apposite tecniche o nei pazienti che lo hanno già perso (almeno il 5% del peso originario), occorre verificare alcuni esami ematochimici indicatori di normali funzioni del fegato e rene ed indicatori di iniziali carenze energetico-proteiche o di sindrome da refeeding (specie dopo alcuni interventi, ad esempio gastrectomie, che inducono il paziente a lunghi digiuni – in maniera scorretta – e che producono una sorta di autocannibalismo delle proteine dei muscoli, compreso quello cardiaco). Rialimentare il paziente non significa però ingozzarlo in modo quasi ossessivo o fare una nutrizione parenterale standard (soprattutto se vi è un intestino funzionante) ma controllare bene le associazioni di cibo, per alcalinizzare il più possibile, ridurre i picchi glicemici al minimo, frazionare il più possibile i pasti per non appesantire la digestione, eventualmente scegliere sacche ad hoc ed iniziare una nutrizione enterale.
Inoltre, utilizzare alcune specie come zenzero, curcuma, prezzemolo, coriandolo; non solo, anche semi oleosi, noci e mandorle (meglio se spelate), cibi ricchi di omega-3, anti-infiammatori, semi di zucca, semi di lino e semi di sesamo per compensare il tutto con proteine vegetali.
Infine, si deve prestare attenzione agli integratori, che non sostituiscono il cibo e che possono avere componenti controproducenti per l’obiettivo terapeutico (soia, aloe, B12 ecc), solo un esperto di medicina integrata all’oncologia può ben consigliare, il fine ultimo comunque sarebbe di mantenere il BMI, l’indice di massa corporea, stabile e nella norma, una bassa massa grassa che permettano di aumentare la qualità di vita del paziente garantendo una compliance nutrizionale al 100%. Tutto questo è possibile personalizzando sempre la dieta nel tempo: il team di specialisti (dall’oncologo, al nutrizionista, dal chirurgo al terapeuta del dolore, ecc) dovrebbe lavorare in sinergia in ogni setting terapeutico, condividendo ogni tipo di scelta, anche quelle nutrizionali ed integrative.


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